Qual è la chiave del Successo?

Il Counseling non può indicarti qual è la chiave del successo ma può aiutarti a fare chiarezza. L'unica chiave del successo è quindi la consapevolezza: imparare a osservarci, ad ascoltarci, a riconoscere i nostri automatismi, le nostre resistenze e i nostri sabotaggi, e poco alla volta provare a cambiare.

Quanti corsi, libri, canali social parlano continuamente della chiave per avere successo?

E quante volte ci siamo domandati cosa stiamo sbagliando, perché i nostri progetti non decollano, perché siamo sempre in difficoltà?

Esiste davvero una chiave per il successo?

In tutto quello che facciamo e viviamo, dalle relazioni, alla professione, dal rapporto col nostro corpo al nostro modo di stare nel mondo, ci “portiamo dietro” una pesante bagaglio fatto di

  • pregiudizi
  • nevroticità
  • automatismi
  • introietti
  • proiezioni
  • negazioni
  • blocchi cognitivi
  • blocchi emotivi
  • convinzioni limitanti
  • autosabotaggi
  • profezie autoavveranti

Crediamo di decidere, ma in realtà siamo poco consapevoli di quanto le nostre scelte siano influenzate dai nostri aspetti caratteriali nevrotici.

Ti faccio un esempio: molte persone non riescono a far rispettare il proprio confine, per cui finiscono sempre per perdere di vista i propri bisogni e obiettivi.

Oppure altre persone hanno un pessimo rapporto col denaro e col successo e ne stanno lontani, pur desiderandoli.

L’unica chiave del successo è quindi la consapevolezza: imparare a osservarci, ad ascoltarci, a riconoscere i nostri automatismi, le nostre resistenze e i nostri sabotaggi, e poco alla volta provare a cambiare.

Se hai voglia di affrontare questo tema in un percorso di counseling puoi fissare un colloquio conoscitivo gratuito.

Cos’è il Counseling Alimentare

Appena diplomata alla Scuola di Counseling ho promesso a me stessa che mi sarei dedicata con tutto il mio impegno ad un tema per me importantissimo, che ha segnato negativamente tutta la mia vita: la fame e il rapporto col cibo.

In 49 anni ho provato a dimagrire in tanti modi, con diete, allenamento, farmaci, trattamenti estetici, digiuno, senza mai riuscire ad ottenere un risultato soddisfacente e definitivo. Il mio peso è variato molto, arrivando anche ai limiti dell’obesità, e nei momenti in cui riuscivo, con enorme sacrificio, a perdere un po’ di peso ero comunque frustrata e infelice.

Più mi ripromettevo di seguire rigidamente la dieta, più forte sentivo la fame: pensavo tutto il giorno al cibo, alla fame, ai dolci, al sacrificio.

Sono Michela Barucco, Counselor Bioenergetica Gestaltica, e propongo percorsi individuali di Counseling Alimentare. Tratteremo temi come la fame, la dieta, il controllo, l'ascolto, le resistenza, l'autosabotaggio.

Questa è stata la mia normalità fino al giorno in cui ho utilizzato gli strumenti del Counseling per lavorare sui miei schemi mentali, sui miei automatismi, sulle mie parti inconsapevoli che mi impedivano di dimagrire con tutte le loro forze: dopo 49 anni ho finalmente capito che l’unico modo per dimagrire definitivamente era guarire la mia anima affamata, FAR PACE CON LA MENTE, COL CORPO E COL CUORE e trasformare una fame insaziabile in normale, sano appetito. Ho perso 20 chili in tre mesi, ma soprattutto ho iniziato ad ascoltare il mio gusto, il mio piacere, il mio desiderio, il mio bisogno, mangiando quanto e quando ne ho voglia.

Se la mia storia è anche la tua, scrivimi per fissare un colloquio conoscitivo gratuito.

Cos’è il Counseling

Sono Michela Barucco, Counselor Bioenergetica Gestaltica, e propongo percorsi di Counseling individuale, di coppia e di gruppo

COME E QUANDO E’ NATO

Da sempre l’uomo ha cercato dei modi per affrontare i problemi emotivi, psicologici e del comportamento, arrivando a ideare rituali, riti di passaggio e trattamenti corporei, esoterici, religiosi, chimici, fitoterapici, chirurgici, e così via.
Il counseling nasce ufficialmente nel 1951 con la pubblicazione del testo “Terapia centrata sul cliente” di Carl Rogers che, insieme a Abraham Maslow e Rollo May, viene considerato il precursore della psicologia umanistica.
Quest’ultima, soprannominata la “Terza forza”, si contrapponeva alla psicanalisi e al comportamentismo cercando di portare un punto di vista olistico ai problemi dell’uomo, considerandolo un tutto influenzato da diversi fattori come le emozioni, il corpo, i sentimenti, i pensieri, il comportamento, tutti di uguale importanza.

Il counseling diviene quindi una relazione d’aiuto in cui è proprio la relazione il mezzo con cui il cliente fa chiarezza, acquisisce consapevolezza, diventando finalmente in grado di assumersi le proprie responsabilità circa il cambiamento. Per il counselor, che è solo una guida in questo viaggio, il cliente ha una tendenza innata all’autorealizzazione, cioè possiede dentro di sè le risposte utili alla propria guarigione, le risorse per crescere e per scoprire le proprie potenzialità.

COSA FA UN COUNSELOR

Noi diciamo che il Counselor aiuta il cliente ad aiutarsi, è come una guida di montagna che lo accompagna lungo un percorso e verso la destinazione scelta dal cliente stesso. Il Counselor non dà consigli, non interpreta, non fa diagnosi, non sottopone test, non prescrive terapie: il Counselor mette a disposizione di chi è in una momentanea difficoltà le proprie competenze, gli strumenti acquisiti durante gli anni di formazione e di esperienza oltre a qualità fondamentali come l’ascolto attivo, l’empatia, l’accettazione incondizionata.

Esistono diversi approcci di counseling e diversi ambiti di intervento.
Il mio approccio è a indirizzo gestaltico bioenergetico integrato, che significa che riunisce gli approcci teorico-esperienziali della Bioenergetica, della Gestalt e dell’Enneagramma.

COME SI SVOLGE UN PERCORSO DI COUNSELING
Il percorso di Counseling comincia con un colloquio conoscitivo gratuito durante il quale il Counselor spiega in cosa consiste la sua professione e il suo intervento e risponde a eventuali domande del cliente; quest’ultimo si presenta e spiega perchè ha sentito la necessità o la curiosità di rivolgersi ad un professionista e introduce il tema su cui vorrebbe lavorare.
Se in seguito al colloquio conoscitivo il cliente sente di voler intraprendere un percorso di Counseling, viene stabilito un “contratto” ovvero un patto che prevede durata e frequenza delle sessioni, importo del compenso e modalità di pagamento, tipo di incontro (in presenza o online), oltre agli adempimenti burocratici legati alla privacy e al trattamento dei dati.

CHI PUO’ RIVOLGERSI AD UN COUNSELOR?
Le persone che si rivolgono ad un Counselor professionista possono essere:
– adulti
– ragazzi o bambini (in questo caso ovviamente sono i genitori a contattare il counselor)
– coppie
– famiglie
– organizzazioni o scuole

QUALI TEMI TRATTA IL COUNSELOR?
Tra i temi che più frequentemente vengono trattati in un percorso di counseling troviamo ad esempio:
– difficoltà scolastiche
– difficoltà in ambito lavorativo, di adattamento alle novità, di relazione con colleghi o capi
– difficoltà nel prendere una decisione importante, lavorativa, familiare o personale
– difficoltà relazionali di coppia o familiari
– difficoltà nell’accettare/gestire l’adolescenza di un figlio
– desiderio di migliorare relazioni familiari o d’amore
– desiderio di crescita personale
– desiderio di migliorare la comunicazione
– acquisire e migliorare le soft skills
– difficoltà in un passaggio evolutivo (adolescenza, pensione, ecc)
– bisogno di migliorare le capacità di studio o lavoro
– affrontare un fallimento in ambito scolastico, lavorativo, personale
– migliorare la gestione delle emozioni (rabbia, ansia, frustrazione, ecc)

QUALI TEMI NON VENGONO TRATTATI DAL COUNSELOR
Il Counselor non tratta la psicopatologia, il trauma, i disturbi del comportamento.
E’ molto importante che i vari professionisti della relazione d’aiuto si occupino di aree i cui sono formati, per questo motivo se un Counselor si rende conto che i cliente ha anche un tema che esula dalle sue competenze invia il cliente al professionista più indicato (psichiatra, psicologo, psicoterapeuta).

Se senti di aver bisogno del mio supporto puoi fissare un colloquio gratuito, in presenza o online, utilizzando i miei contatti.

Cos’è l’autostima e come influenza la nostra vita

Sono Michela Barucco, Counselor Bioenergetica Gestaltica, e propongo percorsi individuali di Counseling su autostima e risorse

Il termine “autostima” viene spesso frainteso e abusato, utilizzato comunemente per indicare la caratteristica di qualcuno che crede in se stesso e sembra capace di affrontare la vita con decisione.
I termini inglesi ci possono aiutare a fare chiarezza, perché esiste “self esteem”, che significa auto stima (stima di sè) che indica la capacità di “stimare”, cioè di auto osservarsi, auto conoscersi e valutare le proprie competenze, che è differente da “self confidence” che indica invece la capacità di accettare se stessi e le proprie capacità con la massima fiducia.

Come nasce l’autostima? Indubbiamente è una risorsa che ha preso forma e spessore durante l’infanzia ed è strettamente dipendente da ciò che i nostri genitori ci hanno comunicato a parole o per mezzo delle azioni. Spesso i genitori confessano il proprio timore che i bambini possano sviluppare un ego ipertrofico, una eccessiva fiducia in se stessi e diventare adulti presuntuosi, viziati e superbi per aver ricevuto lodi ed incoraggiamenti eccessivi.
In realtà è vero proprio il contrario.

Sono Michela Barucco, Counselor Bioenergetica Gestaltica, e propongo percorsi individuali di Counseling su autostima e risorse

L’autostima e la fiducia in se stessi sono qualità, risorse, strumenti preziosi su cui possiamo contare nella vita solo se nella nostra infanzia abbiamo potuto sperimentare l’amore incondizionato. Ho letto spesso che l’amore dei genitori verso i figli è l’unico amore incondizionato, ma io sono fermamente convinta che sia proprio l’opposto: i figli amano i propri genitori non importa quanto siano poveri, nevrotici, arrabbiati, aggressivi, anaffettivi, abusanti. I genitori provano un amore immenso verso i propri figli e probabilmente sono disposti a dare la vita per loro, ma la verità è che raramente sono in grado di far sperimentare ad un figlio l’amore incondizionato, ovvero l’amore e l’accettazione a prescindere da ciò che il bambino fa, da come si comporta, dai capricci, dai brutti voti, dalle grida e dai pasticci.

Esistono frasi che un genitore dice spesso a fin di bene, per educare, per spiegare, nella migliore delle ipotesi con buone intenzioni, che però causano danni, perché comunicano al bambino che così come è non va bene e che ogni volta che è autentico, anche nelle sue fragilità, causa al genitore sofferenza o rabbia.

“Perchè devi essere sempre così arrabbiato?”
“Non piangere!”
“Quanto ti voglio bene quando sei così bravo!”
“Se piangi fai soffrire la mamma”
“Prendere dei bei voti è solo il tuo dovere”
“Se fai così non ti voglio più bene”
“Devi andare bene a scuola altrimenti mi deludi”
“Perché non riesci ad essere calmo come tuo fratello?”
“Il papà adesso è troppo stanco per giocare con te”
“Se non mi dai un bacio non ti voglio più”
“Sono molto delusa e arrabbiata, vai in camera tua, non voglio vederti”
“Sei un cretino!”
“Come fai ad essere così stupida?!”
“Se non ti calmi non ti guardo più!”
“Non chiedo tanto, voglio solo la media dell’8”
“Ma perché sei così pasticcione?”

La difficoltà, enorme, è riuscire a comunicare amore incondizionato anche quando siamo arrabbiati, preoccupati o delusi, a educare anche quando il bambino non ascolta, a convincere quando è oppositivo, ad accogliere anche quando sbaglia o fa i capricci: ciò che spesso manca ma che può chiarire il messaggio è il dialogo.

Il bambino che non ha sperimentato l’amore incondizionato riceve una ferita narcisistica (che è diversa dal disturbo narcisistico di personalità di cui parleremo in un altro momento) che impedirà al bambino di amare pienamente se stesso spingendolo a cercare questo amore all’esterno.
Le ferite emozionali causate dalla mancanza di amore incondizionato sono:

  • Rifiuto
  • Abbandono
  • Umiliazione
  • Tradimento
  • Ingiustizia
  • Indifferenza
  • Inferiorità
  • Solitudine

Quando ci mettiamo in osservazione di noi, provando ad utilizzare la nostra capacità di auto stima, possiamo sicuramente riuscire a contattare una o più ferite emozionali, che abbiamo sperimentato nella nostra infanzia ma che sono ancora dentro di noi, profonde e aperte. Non guariscono col tempo, col successo o con l’amore, ma spesso si fanno sentire in uno o più settori della nostra vita.
Ogni volta che
– ci accontentiamo di una relazione non sano nè nutriente
– facciamo fatica a chiedere e a comunicare i nostri bisogni
– temiamo di essere criticati, giudicati o abbandonati
– proviamo ansia da prestazione
– ci colpevolizziamo per le scelte di altri
– non abbiamo il coraggio di dire la nostra
– sentiamo di essere sbagliati e non essere meritevoli d’amore

allora non abbiamo sperimentato l’amore condizionato e abbiamo un problema di autostima.

Se senti che è il momento di affrontare questo tema con un professionista della relazione d’aiuto contattami per fissare un colloquio conoscitivo gratuito.

Il magico potere del riordino delle emozioni

Credo che molti di noi possano dire di sentirsi spesso in preda alle emozioni, a volte forti, intense e incontenibili, altre volte più flebili, ma confuse e contraddittorie. Ma che cosa possiamo farcene?

Ho letto molte volte sui social consigli come “combatti la tristezza”, “supera la paura”, “elimina la rabbia”, oppure giudizi molto negativi su queste tre emozioni basilari, anche da parte di psicoterapeuti o esperti di spiritualità, e devo ammettere che reagisco sempre con un po’ di fastidio. Le emozioni non sono virus che entrano dall’esterno e ci posseggono per distruggerci, ma sono “roba nostra”, nascono dentro di noi in modo totalmente naturale anche se non sempre funzionale.

Nel mio percorso di studi e di crescita personale ho scoperto e verificato su di me che le emozioni non sono né buone né cattive, ma semplicemente “esistono”, “avvengono”, quasi al pari della fame o del sentire freddo o caldo. Le emozioni dicono cose di noi, del nostro carattere, di come affrontiamo la vita, viviamo le relazioni, reagiamo agli eventi e ci muoviamo nel mondo.
Anche il nostro rapporto con le emozioni dice cose di noi, dimostrando ad esempio se il nostro carattere è più razionale, istintivo o emotivo, ovvero se viviamo la vita “di testa”, “di pancia” o “di cuore”.

Fondamentale da questo punto di vista è stato sicuramente l’Enneagramma, una mappa dei caratteri che suddivide i tipi caratteriali in tre gruppi a seconda dell’emozione di base prevalente, ma mi ha aiutato tanto anche scoprire il “magico potere del riordino” delle emozioni, il metodo di Marie Kondo (l’esperta del riordinare la casa) applicato ai nostri cassetti interni invece che al comò.

Premetto che la rabbia è l’emozione prevalente del mio tipo caratteriale e che, come molti di coloro che mi conoscono sanno, sono sempre in contatto con essa e la manifesto liberamente, anche troppo. Questo però non esclude che io possa provare anche tristezza, paura e tutte le “sfumature emotive” ad esse collegate.

Amo l’efficacia e la densità di significato delle parole sfumature emotive, spesso utilizzate nella mia formazione, in quanto mostrano la possibilità che il mondo, gli eventi e le mie reazioni non siano sempre o bianco o nero, ma appunto di tonalità e gradazioni infinite.

Quante sfumature emotive conosciamo e sappiamo riconoscere? Ci siamo mai domandati ad esempio se ansia, fastidio, preoccupazione, eccitazione, inquietudine appartengono alle macro emozioni rabbia, paura o tristezza?
Non immaginavo quante persone sono talmente poco in contatto con le proprie emozioni da non sentirle, non riconoscerle e non saperle neanche chiamare con il loro nome… a cominciare da me!

La buona notizia è che è sempre possibile una “alfabetizzazione emotiva” e una ri-educazione alle emozioni che ci permetta di capire che cosa si “muove” dentro di noi, quali sono le nostre reazioni e in che modo reagiamo persino a una singola parola detta o a un singolo gesto dell’altro.

Il “riordino delle emozioni” è un modo efficacissimo per farlo.

Sono Michela Barucco, Counselor Bioenergetica Gestaltica, e propongo percorsi individuali di Counseling sulle emozioni

Si comincia cercando prima di tutto un luogo silenzioso e un momento in cui possiamo stare da soli: il mio luogo preferito è l’auto, durante uno dei diversi spostamenti della giornata. Sono sufficienti anche solo 5-10 minuti, soprattutto dopo un po’ di pratica.
Consiglio caldamente di parlare ad alta voce… anche a costo di esser presa per pazza dagli altri automobilisti. Domandiamoci in modo chiaro e deciso “Come mi sento in questo momento?” E lasciamo che la nostra attenzione si soffermi prima di tutto su eventuali sensazioni fisiche: ho un peso sul petto, mi batte forte il cuore, ho il respiro corto e bloccato, ho una sensazione di vuoto, ho le spalle contratte… Un po’ come facciamo quando pratichiamo Bioenergetica!

Poi chiediamoci “Che cosa sento in questo momento?” e lasciamo che l’attenzione esplori quella matassa spesso aggrovigliata nel petto, o quella nebbia fitta nella testa, o quel fuoco nella pancia e diciamo chiaramente quello che man mano vediamo/sentiamo: “sono preoccupata, sono agitata, mi viene da piangere, vorrei gridare, non ho voglia di fare niente, sono demoralizzata, sono inquieta”.
Lasciamo scorrere le parole legate alle sensazioni fisiche, e se necessario contraddiciamoci, correggiamoci, aggiustiamo il tiro: “non sono proprio agitata ma sento un po’ di ansia, in realtà non sono demoralizzata ma sono un po’ triste, non sono inquieta ma forse arrabbiata…”.

Vedremo pian piano sempre più chiare e definite le emozioni e le loro sfumature, che erano già lì, ma che non riuscivamo a distinguere: “sono triste e delusa, ho paura di sbagliare e di non essere apprezzata, sono frustrata e arrabbiata, mi sento come se non ci fosse via d’uscita”. È così liberatorio dire SONO TRISTE! Sono arrabbiata!! E sai che c’è? Sono triste E arrabbiata!!!

È una vera epifania scoprire la molteplicità, la contemporaneità e la contraddittorietà delle emozioni e persino dei bisogni, dei desideri, delle opinioni che esistono in noi in un dato momento. Spiega tante cose! Spiega come è possibile ad esempio che si possa desiderare una relazione ma aver paura di perdere la propria indipendenza, essere tristi per un cambiamento ma provare gioia per la novità, sentire nello stesso identico momento rabbia, paura e tristezza.

Ora che siamo in contatto con le sfumature emotive siamo pronti per il passo successivo, un pochino più cognitivo: fare chiarezza. Domandiamoci “Perché sento queste emozioni?”. Sono arrabbiata con mia figlia perché non fa i compiti, sono triste perché non ho ricevuto un messaggio da una certa persona, sono preoccupata per le scadenze da pagare, sono in ansia perché so che dovrei fare quella cosa ma non ne ho voglia e continuo a rimandare, sentendomi in colpa. Questa è la fase più semplice, secondo me, forse perché abbiamo ormai superato la nostra resistenza iniziale, quella che ci impediva di sentire chiaramente le emozioni.

Ci renderemo conto che così facendo riusciamo a tenere vicini e in comunicazione i nostri tre livelli: corporeo, emotivo e cognitivo. Un po’ come succede quando, nei laboratori esperienziali che facciamo a scuola, siamo invitati a fare proprio questo: a entrare in contatto con le sensazioni, poi con le emozioni, poi con i pensieri, per poi integrarli. Probabilmente ci sentiremo già meglio, le emozioni potrebbero essersi placate, forse saremo più calmi e centrati: è il momento di provare a crescere un po’, utilizzando questa chiarezza e questa nuova consapevolezza per “creare”. Se abbiamo ancora del tempo domandiamoci “Che cosa posso fare per stare meglio?”.

Via libera alla fantasia! Esploriamo le possibilità, facciamo brainstorming affermando ad alta voce persino le proposte più assurde: è probabile che riusciremo a fare chiarezza anche cognitiva su come gestire i problemi e sulle possibili soluzioni: parlerò con mia figlia per stabilire insieme le regole, scriverò io un messaggio invece di continuare ad aspettare, proverò a chiedere aiuto economico o a posticipare la scadenza, non penserò più a questo problema fino a lunedì, andrò a casa e lo farò subito.

Ci siamo mai accorti che raramente accettiamo il consiglio di un’altra persona e lo mettiamo in pratica? Molto spesso facciamo l’opposto, chiediamo altri consigli, procrastiniamo o complichiamo ulteriormente la situazione. Questo perché non esiste un’unica soluzione corretta per i nostri problemi, tantomeno suggerita da qualcuno che vede dall’esterno solo una parte della situazione. Quindi esplorare le varie possibilità è una premessa fondamentale e imprescindibile per poter prendere una decisione valida. E per esplorare è indispensabile fare prima luce, fare chiarezza.

Mi rendo conto che, così facendo, quello che ho descritto è ANCHE ciò che avviene in una sessione di counseling, come infatti ci viene continuamente insegnato nella nostra formazione: il counselor non dice cosa fare e non dà consigli, ma accompagna le persone in un processo di esplorazione delle emozioni e di integrazione di testa, corpo e cuore per aiutarle a fare chiarezza e a vedere le possibilità. Spesso il cambiamento avviene da solo, quasi per magia. Provare per credere.

Lettera di un adolescente ai suoi genitori

Sono Michela Barucco, Counselor Bioenergetica Gestaltica, e propongo percorsi individuali di Counseling per bambini, adolescenti e genitori

“Caro Genitore, Questa è la lettera che vorrei poterti scrivere. Questo conflitto in cui siamo, ora: io ne ho bisogno. Ho bisogno di questa lotta. Non te lo posso dire perché non ho le parole per farlo e comunque quello che direi non avrebbe senso. Ma io ho bisogno di questa lotta. Disperatamente.
Ho bisogno di odiarti ora, e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio. Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiarti e al tuo odiarmi. Ho bisogno di questo conflitto anche se pure io lo detesto.
Non importa neanche su cosa stiamo litigando: l’ora di rientro a casa, i compiti, i vestiti sporchi, la mia stanza incasinata, uscire, restare a casa, andare via di casa, vivere in famiglia, il ragazzo, la ragazza, non avere amici, avere cattivi amici. Non importa.

Ho bisogno di lottare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me. Ho disperatamente bisogno che tu tenga l’altro capo della corda. Che ti ci aggrappi forte mentre io strattono il capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli per vivere questo mondo nuovo a cui sento di affacciarmi.
Prima sapevo chi ero io, chi eri tu, chi eravamo noi. Ma ora, non lo so più. In questo momento sto cercando i miei confini, e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite. Allora io mi sento di esistere, e per un minuto riesco a respirare.

E lo so che ti manca tantissimo il bambino dolce che ero. Lo so, perché manca anche a me quel bambino, e a volte questa nostalgia è quello che mi rende tutto doloroso. 
Ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che, non importa quanto terribili o esagerati siano i miei sentimenti, non distruggeranno me, né te. Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono cattivo, anche quando sembra che io non ti ami.
Ho bisogno che tu ami te stesso, e me, che tu ci ami entrambi e per conto di tutti e due. Lo so che fa male essere antipatici, avere etichette di quello sbagliato. Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu lo tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti per farlo. Perché io non posso in questo momento. Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo-di-mutuo-supporto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non ho problemi. Basta che non rinunci a me, che non rinunci a questo conflitto. Ne ho bisogno.

Questo è il conflitto che mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce. Questo è il conflitto che mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione. Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando sono una delusione per gli altri. E questo conflitto particolare, finirà. Come ogni tempesta, verrà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai. E poi tornerà da capo. E io avrò bisogno che tu regga la corda di nuovo. Di nuovo e di nuovo, per anni.
Lo so che per te non c’è nulla di soddisfacente in questa situazione. Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te ne riconoscerò il merito. Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che niente di quello che fai sia mai abbastanza. Eppure, io faccio affidamento interamente sulla tua capacità di restare in questo conflitto.
Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto mi chiuda in silenzio. Ti prego, resta dall’altro capo della fune. E io lo so che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.
Con amore, il tuo adolescente.”

© 2015 Gretchen L Schmelzer PhD Testo originale: The Letter Your Teenager Can’t Write You

Un Otto Sociale alla scoperta di sé

Paura, Disgusto, Tristezza, Gioia e Rabbia nel film a cartoni animati “Inside out”

Conoscere l’Enneagramma è stato un momento epocale, non potrei definirlo diversamente. Più procedo nella scoperta, con la mia formazione e il mio percorso di counseling, e più scopro nuovi particolari. Partiamo dall’inizio: il mio enneatipo. Scoprire di ESSERE UN OTTO ha significato per me prima di tutto il perdono per quegli aspetti caratteriali, prima incomprensibili e inspiegabili, che hanno sempre reso difficili le mie relazioni.

Non riconoscevo e non accettavo la rabbia e l’aggressività di cui sono sempre stata accusata, ne proiettavo l’origine sugli altri e spesso ne ero completamente sopraffatta. Nessuna affermazione mi feriva e mi faceva sentire incompresa più di “Come sei aggressiva!” o “Sei sempre incazzata!”. Inutile dire che la mia reazione era poi ancora più aggressiva e arrabbiata.
Ho scoperto quindi di ESSERE UN OTTO e non di “essere sempre arrabbiata”, e questo mi ha aperto un mondo, il mio mondo.
Ho scoperto che la rabbia non è né giusta né sbagliata, così come non lo sono tristezza e paura, e che può anche non essere distruttiva, incontrollata, inconsapevole e cieca, ma piuttosto costruttiva, proattiva, modulabile, consapevole, persino saggia.

Ho fatto pace con me stessa e con la mia emozione nucleare che mi ha sempre messo a disagio, e questo mi ha permesso di “portarla nel mondo” con orgoglio e con responsabilità.

Grazie allo studio dell’Enneagramma e al mio percorso personale, sto imparando a essere INNOCENTE, ovvero a non fare danno, a MODULARE la mia energia in base alle situazioni e alla persone con cui mi relaziono, ad accettare serenamente di essere quella che si assume la responsabilità di combattere per la giustizia e il bene degli altri, senza sentirmi sbagliata.

Da mesi mi capita di litigare con maggiore consapevolezza e di osservarmi, sforzandomi di mantenere non solo la telecamera sugli altri e sull’altro, ma anche sulla nostra relazione conflittuale e su me stessa. La cosa quasi buffa è che al termine del litigio mi do un voto, riconoscendomi di essere stata calma, di aver controllato la postura, di aver portato le mie ragioni in modo chiaro e deciso ma non eccessivo. Ma non va sempre così bene. A volte osservo che, senza volerlo, durante il confronto mi sono avvicinata all’altro, causando un suo indietreggiamento.
Alcune persone mi domandano spesso perché perdo tempo a litigare sui social e, dopo averci riflettuto, ho concluso che la litigiosità, anche apparentemente inutile, è un modo per scaricare la mia grande energia ed evitare di fare danno altrove. In questa prospettiva non risulta quindi “sbagliata”.

Quanto orgoglio poi nel riconoscere la mia battaglia per la giustizia, nell’osservare il mio difendere i deboli e gli amici, nel non sapere che cos’è la paura, nel cercare la verità detestando l’ambiguità, nel fare affidamento solo su me stessa e non arrendermi davanti alle difficoltà.

Ma…. c’è il rovescio della medaglia. Non solo gloria, ma anche fatica, frustrazione e sofferenza nel VEDERE le mie rigidità, i miei limiti e la mia fragilità. Ho dolorosamente osservato come la mia rabbia e la mia forza, anche fisica, siano armi e armatura per proteggermi, per nascondere la mia vulnerabilità e la paura di essere tradita e ferita. Mi sono vista, faticosamente, il bisogno di avere il controllo, la negazione del dolore e della sofferenza per paura di esserne sopraffatta, il diniego del bisogno per evitare la dolorosa esperienza del non vederlo soddisfatto.

Uno degli aspetti più sorprendenti del mio viaggio alla scoperta dell’ESSERE UN 8 è stato entrare in contatto con emozioni che non sapevo di avere, che mi rifiutavo di sentire e a cui non davo dignità, come fossero “cose da deboli”.
Ho scoperto la mia tristezza, legata al non riuscire a fidarmi vivendo male le relazioni; la mia solitudine, causata dal voler fare tutto da sola senza chiedere; la mia fragilità, che quando viene a galla dalla mia armatura è come se dicesse “Vorrei che qualcuno si prendesse cura di me”.
Io che parlo sempre tanto, ho scoperto di non parlare mai davvero di me, di essere molto in difficoltà nell’intimità, nei momenti in cui sarebbe buono aprirmi per lasciare “entrare” l’altro.
Ho scoperto che sono coraggiosa perché non sento la paura (e questo, ahimè, non è vero coraggio), ma che alcune cose mi terrorizzano: quanto è ancora difficile per me chiedere, a causa del terrore di ricevere un NO! E a quante cose belle ho rinunciato nella mia vita per il terrore di ricevere un altro no…

Nel mio viaggio di scoperta dell’Enneagramma ho poi riconosciuto le influenze degli altri enneatipi, in quanto ali o collegamenti, non sempre positive. Mi rendo conto di offendermi spesso come un DUE, di essermi spesso dimenticata di me come un NOVE, di essere inconcludente come un SETTE e di scappare come un CINQUE. Prendere il peggio degli aspetti nevrotici degli altri è davvero facile. Meno facile invece è prendere il meglio, ma è quello che intendo fare.

Il libro sull’Enneagramma di Helen Palmer, lettura obbligatoria nel percorso di formazione, è diventata per me un “manuale delle relazioni”, un testo che ho sempre in borsa, in cui spesso cerco piccoli e grandi chiarimenti.

L’ho letto interamente più di una volta e torno spesso a rileggerne alcune parti, sottolineando ed evidenziando, quando incontro qualche incomprensione con i figli, con i miei genitori, con l’uomo che sto frequentando.
Leggendo e rileggendo questo testo cerco di capire come amare e capire l’altro grazie al mio collegamento DUE, come osservare e riflettere grazie al mio collegamento CINQUE, come imparare la diplomazia della mia ala NOVE e, perché no, divertirmi un po’ con la mia ala SETTE… che in tutto questo combattere può essere buono. In un secondo tempo ho cercato tra gli enneatipi le persone per me importanti, riconoscendo mia figlia QUATTRO, mio figlio CINQUE, mio padre TRE, i miei fratelli QUATTRO e TRE, mia madre ancora incerta tra UNO e QUATTRO.
Grazie a questo, non solo ho potuto “aggiustare il tiro” nelle mie relazioni, comprendendo quando le lenti con cui le persone guardano il mondo siano diverse e imprescindibili, ma ho anche eliminato il giudizio che le loro azioni mi causavano. Sento che sto diventando più tollerante (altro tema dell’OTTO) e più aperta a un modo diverso dal mio di vedere il mondo, a sfumature che prima mi sembravano inaccettabili (non a caso l’OTTO poco evoluto vede tutto in bianco o nero).
Con mio figlio CINQUE, ad esempio, sto imparando ad aspettare con pazienza che abbia voglia e bisogno di parlare con me, senza forzarlo, invadendo il suo spazio con domande assillanti e apprensive. Con mia figlia QUATTRO sessuale l’Enneagramma è diventato addirittura uno strumento usato da entrambe per crescere e migliorare la nostra relazione.
Sento di possedere ancora una minima parte della conoscenza di questa mappa ma, osservando quanto sia stata utile per me e per le persone che amo, sono certa che la approfondirò e la utilizzerò anche nella futura professione di counselor, con l’intento di portare nel mondo, da bravo OTTO sociale, un sapere che può davvero aiutare gli altri a essere più felici.